Pablo probabilmente e’ stato l’unico vero poeta che io abbia avuto la fortuna e la sfiga di conoscere.
Comincio’ ad avvicinarsi alla mia vita tramite i racconti degli altri. Beppe mi aveva gia’ parlato di questo gruppo di ragazzini di Vestone che, a suo dire, erano fantastici. Un giorno in macchina mi fece sentire il loro primo demo, che era registrato in sala prove con un radiolone. Era molto grezzo e non tutti i brani erano dello stesso livello, ma alcuni erano davvero grandiosi. Testi e melodie, persino gli arrangiamenti. C’era dentro una maturita’ artistica difficile da concepire in un gruppo di ragazzini meno che ventenni, e c’era una poesia semplice e diretta che mi incantava almeno quanto iniziava ad incuriosirmi la testa nella quale questa poesia si formava.
La prima volta in cui vidi Pablo Bacchetti eravamo a casa di Beppe, nel garage attrezzato a sala prove dove dava lezioni di batteria. C’era tutto il gruppo: Pablo, Billy ed Ernesto. I bambini dell’ asilo al completo. Insieme erano semplicemente splendidi. Giuro, nessuna agiografia in questo. Si adoravano e litigavano continuamente. A volte giocavano finendo a fare la lotta sul pavimento. E’ difficile da spiegare, ma veniva voglia di adottarli in blocco. In ogni caso, in quel primo incontro Pablo si era subito distinto venendo da me immediatamente dopo la presentazione e dicendomi: “Io sono una rock’n’roll star e diventero’ molto piu’ famoso di te!”. Poi si era messo a ridere e mi aveva chiarito di essere un mio fan e di conoscere a memoria il mio lavoro, ma subito riconfermandomi che lui scriveva canzoni bellissime e che sarebbe diventato molto piu’ famoso di me, anche perche’ era piu’ giovane e piu’ bello. Il tutto ridendo come un pazzo, muovendosi continuamente per la stanza, magro e nervoso come un lupo. E riuscendo ad essere irresistibilmente simpatico. Non c’era niente da fare, mi aveva gia’ conquistato. Passammo il resto del pomeriggio ad ascoltare musica, chiaccherare, fumare sigarette.
Poco tempo dopo io e Dade dei Pineapple Facial Wax (nonche’ mio cugino, amico e abile chitarrista/produttore) ci offrimmo di registrare qualche loro brano con dei suoni un po’ meno lo-fi di quelli utilizzati nel demo precedente. Niente di elaborato, ma farlo suonare meglio di una registrazione da ghetto-blaster non doveva essere difficile. E non lo fu. La cosa piu’ complicata divento’ invece cominciare il lavoro, dato che prima di entrare nel cortile dove si parcheggiava, Pablo investi’ un’altra auto. Ci fu un’ora di concitazione e constatazioni amichevoli e risate isteriche. Poi montammo tutto ed alla fine eravamo pronti a cominciare. Io e Dade, vista la tenera eta’ dei ragazzi e la loro poca esperienza, temevamo che la registrazione sarebbe stata lunga e faticosa. Ma cosi’ non fu. Dall’inizio della registrazione i ragazzi si dimostrarono disciplinatissimi e preparati. Nessuno strumento, che io ricordi, ando’ oltre il terzo take prima di ottenere la traccia buona. Voci comprese. La sera ripartimmo in uno stato di semi-esaltazione (anche alcolica, dato che erano seguiti aperitivi). Pablo aveva lo sguardo felice, anche se sembrava un po’ turbato. Noi credevamo fosse per l’incidente, la storia futura avrebbe dimostrato che forse non era solo per quello.
Dalla registrazione di quel mini-demo cominciammo a diventare amici, a frequentarci. Noi seguivamo i loro concerti, ed i loro amici di Vestone erano diventati nostri quanto loro fan, ed un po’ alla volta accadde sempre piu’ spesso che ci si trovasse tutti insieme negli stessi locali a fare baldoria, e non solo in caso di concerti. Pablo frequentava Brescia sempre piu’ spesso, e passava sempre piu’ tempo con noi. I miei amici lo adoravano e lui li ricambiava. Quando era allegro aveva uno splendido senso dell’umorismo ed una lingua lunga e a volte affilata, ma sempre mediata da un sorriso disarmante. Ti veniva voglia di coccolarlo e di prenderlo a bastonate, contemporaneamente. Il nostro legame si andava rafforzando. A causa della mia eta’ e del mio lavoro nella musica, Pablo aveva molta ammirazione per me, a volte mi diceva cose quali “Adesso ti copio una canzone e la miglioro”. Io ero e sono convinto che il suo talento di autore fosse di gran lunga superiore al mio e di chiunque altro avessi conosciuto. Per fortuna non sono invidioso e quindi ero felice di seguire i suoi progressi come compositore, che erano davvero incredibili. Ogni nuova canzone era migliore delle precedenti. Lui a volte mi telefonava e, prima di darmi il tempo di proferire parola, mi diceva: “Stavolta ti ho battuto: ascolta questa!” poi imbracciava la chitarra e mi cantava la canzone nuova per telefono. Un paio di volte lo fece a notte fonda. Aveva un entusiasmo contagioso, e anche per telefono mi rendevo conto che mi aveva battuto davvero, scrivendo una canzone che mi faceva impazzire. Un vero bastardello, no?
Il nostro collaboratore e fonico (e amico), Carlo Dall’Asta, comincio’ in quel periodo a prenderli sotto la sua ala protettrice, interessandosi a loro ed al loro lavoro. Dobbiamo a lui la registrazione del demo, attualmente reperibile in versione CD, che e’ il loro unico lavoro di fatto pubblicato, anche se non da un’etichetta vera e propria. Loro adoravano Carlo e ne avevano cieca stima, esattamente come ne avevamo noi. Anche Carlo si trovava bene con loro e li apprezzava. Con queste premesse e’ ovvio che le registrazioni del demo furono veloci ed efficaci. E il demo un successo locale immediato.
Nel giro di un anno i Bambini dell’Asilo erano diventati uno dei gruppi che maggiormente catalizzava l’attenzione della scena bresciana. I loro primo concerto fu indimenticabile. Avevano uno stile molto semplice, Pablo non era uno di quelli che si agitano troppo sul palco, restava fermo cantando le canzoni e ogni tanto doveva spingersi gli occhiali su per il naso. Ernesto e Billy si muovevano bene, senza esagerazioni ma con una bella energia molto spontanea. Tutti erano giovani e strepitosamente cool sul palco. Al primo loro concerto portai Sancho ed altri amici, giurando loro che ne sarebbero rimasti entusiasti. Nonostante i miei amici fossero e siano avvezzi ad una mia percentuale di esagerazione, capirono che anche scremando qualcosa dalle mie affermazioni roboanti doveva trattarsi di qualcosa di interessante. E la serata fu un successo. Il concerto dei Bambini all’Altaquota di Carpenedolo, anche se per pochi, rimane tuttora uno dei concerti piu’ belli ed emozionanti a cui abbia mai assistito. Non dimentichero’ mai Sancho, con la camicia fuori dai pantaloni e gli occhi fuori dalla testa, che si agita come un pazzo cantando a squarciagola “io guardo in mezzo all’immenso che c’e’ – ed e’ l’immenso deserto di te”. Quel concerto fu trionfale, tornammo a casa tutti molto emozionati, con la sensazione che qualcosa di nuovo e bello ci aspettasse al varco. Tutti tranne Pablo. Il giorno dopo mi chiamo’, era molto depresso. Mi annuncio’ che aveva intenzione di smettere di suonare, disse che gli causava troppa agitazione. Ernesto e Billy, che lo conoscevano meglio di noi, erano preoccupati ma non troppo. Sapevano che dopo momenti di grande esaltazione Pablo tendeva ad avere dei down molto potenti, e sapevano che di solito aspettando un po’ di tempo questi down si dissolvevano e la vita riprendeva normalmente. Io non lo sapevo invece, ed ero molto preoccupato. In un momento di emozione gli regalai la mia copia storica del mio libro preferito, scrivendogli una lunghissima dedica che voleva rincuorarlo, fargli cambiare idea. Alla fine ando’ come si aspettavano i ragazzi: dopo una breve pausa ricominciarono a provare. Quella crisi era passata.
Il nostro rapporto intanto si faceva sempre piu’ stretto. Pablo in quel periodo aveva qualche dissapore in casa, e un giorno me l’ero trovato alla porta che mi chiedeva ospitalita’ per qualche tempo. Io all’epoca abitavo con mia moglie Marta e con Carlo, e tutti e due gli erano molto affezionati. Fummo felici di ospitarlo anche se lui era nella sua fase schizzata, una specie di furetto adrenalinico. Passammo molte notti a chiaccherare, raccontandoci di tutto. Lui spesso mi parlava della sua famiglia, e nonostante non stessero passando un buon periodo le sue parole nei loro confronti erano palpabilmente piene d’affetto, sempre. Un paio di volte lo ricordo commosso ma con pudore, un rapido bagliore negli occhi subito cancellato da una passata di mano sotto gli occhiali, da una battuta e le conseguenti risate sgangherate. Ascoltavamo musica insieme, bevevamo birra e fumavamo milioni di sigarette. Diventavamo amici. Anche con i miei amici piu’ cari Pablo aveva intessuto rapporti che diventavano ogni giorno piu’ stretti. Aveva posato per mia moglie, che gli aveva fatto un ritratto a matita splendido, un disegno che tuttora la segue in ogni cambio di casa e dal quale so che non si separerebbe per nessun motivo. Passava un sacco di tempo con Elly con la quale faceva costantemente a gara su chi la sparava piu’ grossa, aveva avuto una turbolenta relazione con un’altra nostra cara amica, una relazione dalla quale erano nate canzoni e poesie tra le piu’ belle di tutto il suo lavoro. Kovre era diventato il loro fotografo ed era sempre felice di spupazzarsi lui e la band. Pablo intanto continuava ad alternare periodi nei quali era agitato e magro e tirato come una pelle di tamburo, a periodi nei quali era depresso e silenzioso e grassoccio. Una volta, mentre era in fase depressa, eravamo a casa di Elly. Era estate e faceva un caldo assassino. Io stavo facendo tutto quello che potevo per tenerlo allegro, e ci stavo riuscendo. Elly aveva preso la polaroid e ci aveva fatto una foto. E’ l’unica che abbiamo insieme, ed e’ quella che potete vedere qui.
Pablo viveva anche dei momenti di equilibrio emotivo, ma ci accorgevamo tutti che erano sempre meno frequenti, e che si andavano accorciando.
Le cose cominciarono a peggiorare davvero quando Pablo, scendendo in macchina da Treviso Bresciano su quella strada che e’ tutta un tornante, investi’ un motociclista e gli procuro’ dei danni abbastanza seri. Da quanto posso ricordare il torto era del motociclista, ma per la psiche di Pablo fu un colpo molto forte. Da quel momento in poi i suoi momenti di equilibrio diventarono sempre piu’ sporadici. Inizio’ una cura che lo rintronava parecchio. Lo ricordo spesso con uno sguardo spaesato che stringeva il cuore. Era malato, e non c’era niente che potessimo fare.
Scriveva anche meno canzoni, ma quelle nuove erano sempre piu’ belle. Un pomeriggio venne a casa mia e, tutto eccitato, mi fece sentire la sua nuova creazione. Era ed e’ una delle piu’ belle canzoni che io abbia mai sentito. Si chiama Diva. Mi chiese di lavorarci un po’ sopra con lui, e passammo il pomeriggio giocandoci, lavorando su cori e riff di chitarra. Scherzavamo dicendo che sarebbe diventata la nostra canzone, che sul disco i cori e la seconda chitarra del brano li avrei suonati io. Non lo sapevamo, ma era l’ultima volta che saremmo stato soli, io e lui, a cazzeggiare.
In quel periodo suonavo nel Grande Omi, eravamo sotto contratto con il C.P.I., ed avevo portato a Gianni Maroccolo il demo dei Bambini dell’Asilo chiedendogli se da parte del Consorzio poteva esserci un qualche tipo di interesse. Nell’arco di pochi giorni Gianni aveva ascoltato il lavoro e ci aveva fatto sapere che si’, le canzoni erano bellissime e che qualcosa si sarebbe potuto fare, anche se al momento l’etichetta non era in ottime acque con tutti i casini che stavano succedendo con la Polygram. Ma in ogni caso era un’ottima notizia.
Le canzoni c’erano ed era il momento di entrare in studio a registrarle e trasformarle nel primo disco, dato che fino ad allora erano circolati solo due demo-tape. Sotto questi buoni auspici, Carlo andava organizzando il lavoro. Tutti insieme si spostarono per la pre-produzione, trasferendosi armi e bagagli e strumenti in una cascina in montagna, gentilmente messa a disposizione dalla famiglia di Ernesto. Anche in quel caso il lavoro era stato veloce e delle registrazioni di massima erano state fissate. Un paio di volte, di notte, Pablo aveva preso la chitarra acustica ed aveva fatto sentire ai ragazzi delle canzoni nuove. Carlo fortunatamente lo aveva registrato mentre le eseguiva in quel modo, all’aperto di notte, cazzeggiando. Ora potete sentirle sul CD nel quale il secondo demo e’ stato trasformato.
A quel punto tutto era pronto per cominciare a lavorare alle registrazioni vere e proprie. Dato che Pablo era in un momento particolarmente delicato, i takes erano cominciati con batteria e basso. Ernesto e Billy erano stati precisi e celeri come di consueto, ed in pochi giorni le loro parti erano state fissate su nastro. Pablo nel frattempo era precipitato in una delle sue fasi depresse, una delle piu’ forti. Quando arrivo’ il suo turno di registrare si presento’ comunque in studio e a detta di Carlo, nonostante l’umore fosse nero, la performance fu formidabile. Sette chitarre complete in una giornata. Un ottimo risultato anche per un professionista in un periodo di forma strepitosa. Il giorno dopo le registrazioni cominciarono altrettanto bene. Ma dopo una (o forse due, non ricordo bene) tracce registrate con la stessa scioltezza del giorno prima, Pablo depose la chitarra ed annuncio’ che la tensione era troppa e gli faceva male, e che non avrebbe suonato mai piu’.
I ragazzi non si preoccuparono troppo, pensarono ad una delle solite crisi passeggere e che dopo una breve pausa il lavoro avrebbe potuto riprendere. Non potevano sbagliarsi di piu’.
La mattina dopo Nico era venuto a Brescia a trovarmi, evento molto raro. Eravamo in sala a chiaccherare, avevamo fumato qualcosa ed eravamo quieti sul divano quando e’ suonato il telefono. Carlo ha raccolto la cornetta e ha detto “Ciao Ernesto”. Non so perche’ ma io e Nico siamo rimasti ad ascoltare i pochi monosillabi con cui Carlo ha sostenuto la conversazione. Sembrava teso. Quando ha riappeso il telefono gli ho chiesto sorridendo: “Cos’ha combinato Pablo questa volta? Si e’ suicidato?”. Carlo ha risposto “Si’”.
Ci sono momenti nella vita in cui tutti si ghiaccia, momenti dei quali ricordi le posizioni e i suoni e i colori e tutto quanto. Con la voce strozzata chiesi qualche chiarimento a Carlo, ma ce n’erano ben pochi. Al momento venimmo solo a sapere che si era soffocato con una busta della spesa, quella che da noi chiamiamo comunemente una sportina. E che il suo corpo era gia’ stato composto all’obitorio di Brescia.
Io chiesi scusa ai presenti ed andai in bagno, dopo scoppiai in un pianto breve, doloroso. Mi lavai la faccia, poi andai a fare un paio di telefonate a persone che sapevo avrebbero voluto essere subito informate. Ogni volta sentii la morte correre sul filo del telefono, lo stesso ghiaccio ricoprire chi mi aveva risposto. Ci saremmo ritrovati tutto all’obitorio il piu’ presto possibile, giusto il tempo di arrivare.
C’era un sacco di gente. Le espressioni erano tutte di sconcerto, molti ragazzi erano arrabbiati con lui per quello che aveva fatto. Uno aveva dato in escandescenze ed aveva divelto qualcosa in un momento di rabbiosa follia. Era un autunno gia’ freddo. Pablo era nella bara, il suo viso come spesso succede nella morte sembrava rimpicciolito, i suoi soliti occhiali sembravano enormi, la sua pelle era di cera. Io e molti altri non riuscivamo a piangere. Non poteva essere vero in fondo, no? Era senz’altro uno dei suoi scherzi stupidi, di li a poco si sarebbe rialzato dicendo una qualche stronzata e avremmo riso tutti.
Quella sera avevamo un concerto in un locale. La prima reazione era stata quella di rinviare tutto, ma tutti i ragazzi della valle amici nostri e dei Bambini insistettero perche’ suonassimo, poi ci seguirono al concerto. Cercammo di evitare ogni patetismo, annunciai con poche parole che il concerto era dedicato a lui, poi suonammo meglio che potevamo. Temevo non sarei riuscito a cantare per le lacrime, invece fu tutto molto semplice. La commozione era piu’ profonda, la consolazione delle lacrime era molto di la’ da venire. Per noi fu una serata indimenticabile, a modo suo persino una bella serata. Negli anni successivi molti dei ragazzi che erano venuti quella sera mi dissero di avere provato la stessa cosa. Il giorno dopo, nuovamente all’obitorio, approfittai di un momento in cui nessuno era nella stanza per avvicinarmi a Pablo e mettergli il plettro che avevo usato la sera prima nel taschino. Uno dei miei classici gesti stupidi ed inutili, ma che non ho mai rimpianto. Livia, la sua ragazza, era entrata in quel momento senza che io me ne accorgessi, e mi stava guardando. Ci sorridemmo e non ne parlammo allora, non ne parlammo mai piu’. E non ne ho parlato con nessuno fino a questo momento. Il giorno dopo ci fu il funerale. C’erano centinaia di persone, c’eravamo tutti. Molti di noi, come me, non entrarono in chiesa e quindi non ho idea di che cosa abbia detto il prete di turno. Pioveva forte, era una giornata cupa e livida. Pablo era il piu’ grande stoccatore di sigarette che fosse mai esistito. Al cimitero, mentre la bara iniziava a venire interrata, qualcuno tolse una sigaretta dal pacchetto e la butto’ nella fossa, subito imitato da tutti noi. Alla fine ce n’erano centinaia, macchie di bianco nella pioggia.
Finita la cerimonia ci trasferimmo tutti alla sala prove dei ragazzi, dove gli amici piu’ cari avevano organizzato una festa. E fu una bellissima festa. Suonammo e bevemmo fino a mattina. Passarono anche i genitori di Pablo, che non si fermarono molto. Ricordo molte persone che piangevano e ridevano contemporaneamente. Aveva smesso di piovere e tanti erano anche all’aperto. Era un momento molto speciale, e credo che nessuno di quelli che erano li’ abbiano potuto dimenticare lo strano sapore di quella notte. Sembrava che non dovesse finire mai, ma in qualche modo verso mattina la gente comincio’ ad andarsene, e rimanemmo in pochissimi, e alla fine non rimase nessuno.
Pablo non c’era piu’. Le vite di tutti i presenti, in qualche modo, erano cambiate per sempre.
Io da allora ho un peso nel cuore. Negli ultimi mesi stavo affrontando un periodo molto difficile della mia vita, e Pablo stava male ed era molto impegnativo perche’ era in un momento ancora peggiore. Avere a che fare con lui richiedeva impegno e pazienza, e io in quel momento non ne avevo a disposizione. Qualche volta mi aveva chiamato al telefono, e io non avevo risposto. Ogni volta pensavo “Ok, scusa vecchio ma oggi non me la sento. Domani ti richiamo e ti faccio ridere, e magari tu farai ridere me”. Ma domani non chiamavo, ero ancora ripiegato su me stesso e sul mio dispiacere. L’ultima volta che ho sentito la sua voce stava parlando nella mia segreteria telefonica, non mancavano molti giorni alla sua morte. Aveva parlato per qualche minuto come faceva sempre, poi aveva concluso dicendo “Tanto lo so che mi stai ascoltando e non hai voglia di rispondermi. Ma io ti voglio bene lo stesso. Vaffanculo, chiamami”. Non l’ho mai piu’ chiamato. Non l’ho fatto. E questo sordo dolore, questa delusione verso me stesso, purtroppo non ha una redenzione. Non in questa vita. E non esistono parole per descriverlo.
Ora sono passati molti anni. La sua musica nella nostra citta’ e’ ancora conosciuta e viva, in molti hanno preso il CD nel quale e’ stato convertito il vecchio demo. Molte persone si ricordano di lui e della musica dei Bambini dell’Asilo. Io ho un tatuaggio sull’avambraccio sinistro che ho fatto pochi giorni dopo la sua morte, quando ho scoperto che il testo di una canzone – motorpsycho – kill some day – che in quei giorni non riuscivo a smettere di ascoltare sembrava scritto per me e lui, per quello che era successo. Per anni ho evitato di suonare sue canzoni dal vivo anche se lo desideravo, perche’ temevo di essere confuso con quegli avvoltoi che non vedono l’ora di impossessarsi di un evento luttuoso per distillarne un po’ di fama riflessa. Poi un giorno di qualche anno fa ho provato a suonare Diva a casa mia, e mi e’ tornato alla mente di quando ci avevamo lavorato sopra insieme. E ho deciso che l’avrei eseguita dal vivo ogni volta che avessi potuto. E che ognuno pensasse quello che gli pareva. Non la registrero’ mai su un disco perche’ non mi appartiene, ma ho deciso di metterne a disposizione una versione dal vivo perche’ dentro di me so che si tratta di un vero omaggio, e chi ha lavorato con noi sa che Pablo ne sarebbe contento. Il mio cuore sa che e’ vero. Anche la mia Diva lo sa.
Alla fine il piccolo Pablo mi ha battuto ancora, anche solo restando per sempre giovane e bello e pieno di talento mentre io continuo a lottare con gli anni che passano e l’amarezza che cresce. Ma non mi dispiace di avere perso con lui. Mi piacerebbe solo che ancora una volta mi telefonasse per dirmelo, anche nel cuore della notte come faceva allora. Mi piacerebbe tanto.
Franci Omi
(https://www.franciomi.it/2006/09/16/pablo-bacchetti-bambini-dell-asilo/)